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Mercato e patrimonio artistico, due realtà distanti?

L’eterno dissidio tra mercato e patrimonio artistico

A Palazzo Serra di Cassano la tavola rotonda su un argomento di estrema attualità

Il 28 ottobre a Palazzo Serra di Cassano si è tenuta una tavola rotonda dal titolo Mercato e patrimonio artistico che ha coinvolto personaggi del calibro di Massimo Bray (Direttore generale dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana Giovanni Treccani ed ex ministro per i Beni Culturali), Massimiliano Marotta (Vicepresidente Istituto Italiano per gli Studi Filosofici), Paolo Maddalena (Vicepresidente emerito della Corte Costituzionale), Giovanni Melillo (Capo di Gabinetto del Ministero di Giustizia) e Tomaso Montanari (professore di Storia dell’Arte Moderna all’Università Federico II di Napoli). La tavola rotonda è stata promossa dalla Fondazione Cives.

Dal dibattito sono emersi due schemi di pensiero contrapposti: quello che vede un punto d’incontro tra le due realtà e quello che non vede alcuna conciliazione possibile senza snaturare l’uno o l’altro campo.

Chi vede l’accostamento come possibile e opportuno immagina che la mediazione venga condotta da uomini che possiedano gli strumenti, la sensibilità e la consapevolezza necessaria per rivalutare correttamente il patrimonio, concetto dalla portata amplissima, e che riescano a guidare con mano ferma la sua immissione nel mercato, mondo dalla vitalità prorompente ai limiti della corrosione.

Ma la posizione che vede come antitetiche le due realtà evidenzia la distanza concettuale insita nella parola  patrimonio, che rimanda al concetto di bellezza, rintracciabile sia nella natura che nelle opere dell’uomo. È un concetto intuitivo che implica anche un’appartenenza a un territorio e alla collettività che ne usufruisce. Il patrimonio, invece, con il passare degli anni scivola sotto il potere di entità finanziarie (speculatori, enti e banche private) che si fanno sempre più ingombranti e si allargano a macchia d’olio e acquisiscono quel demanio che alla fondazione della Repubblica era concepito come inalienabile.

L’ex ministro Bray lancia invece una provocazione: dei 4000 luoghi sensibili di rilevanza culturale in Italia, si stima che 100 circa potrebbero attrarre investimenti privati, in ottica di un ritorno economico o d’immagine. E gli altri 3900 che fine faranno?

La partita è ancora aperta. Sta di fatto che un settore pubblico che ha sempre più bisogno del privato per gestire un patrimonio immenso dovrà alla fine confrontarsi concretamente con questo dualismo. Starà tutto nelle mani delle persone coinvolte fare in modo che la transazione avvenga nella maniera più indolore possibile.

Rimandiamo al programma delle prossime attività dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. [S]

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